Fin dalle origini dell’arrampicata sportiva il territorio lecchese è una delle capitali indiscusse di questa disciplina nel Nord Italia.
A fare la differenza è qualcosa che non si vede, ma si respira nell’aria e nelle atmosfere dei luoghi: arrampicare a Lecco significa confrontarsi con più di un secolo di storia verticale. Qui, infatti, la scalata è una tradizione antica, qualcosa che appartiene all’identità più profonda di chi nasce e cresce nei paesi e nei quartieri che si sviluppano quasi sempre in pendenza, stretti fra lago e montagna, con le rocce che incombono proprio sopra i tetti delle case. Non c’è da stupirsi che l’escursionismo e l’arrampicata da queste parti siano sport popolari quanto il calcio!
Francesco Maggi Francesco Maggi
Le pareti e le montagne che circondano il ramo orientale del Lario sono state la palestra di intere generazioni di scalatori lombardi. Lì hanno fatto il loro apprendistato alcuni dei nomi più famosi dell’alpinismo internazionale: personaggi come Riccardo Cassin, Walter Bonatti e Casimiro Ferrari, poi gli altri arrampicatori del mitico gruppo dei Ragni di Lecco, divenuti celebri per le loro imprese sulle montagne di tutto il mondo.
La rivoluzione dello spit è cominciata qui
Se la storia dell’alpinismo ha fatto tappa fra le vette lecchesi (le più rinomate sono la Grignetta, il Grignone e il Resegone) quella dell’arrampicata sportiva è passata dalle pareti situate nelle località di fondo valle o sulle rive del lago.
Sul finire degli anni 70 un gruppo eterogeneo di giovani scalatori, affascinati dalla “rivoluzione” nata fra le gole francesi del Verdon, cominciò a diffondere anche a Lecco l’etica e la tecnica dell’arrampicata contemporanea.
Le falesie che fino ad allora gli alpinisti tradizionali avevano ignorato perché non conducevano ad alcuna cima, diventarono il loro terreno di gioco: un universo ancora tutto da esplorare. Proprio lì vennero creati alcuni dei primi itinerari attrezzati a spit in Italia e quelle rocce, sino ad allora insignificanti, divennero uno straordinario laboratorio del gesto verticale e della difficoltà, dal quale sono usciti negli anni alcuni dei più forti climber italiani.
Il seme piantato da quei primi esploratori ha germogliato e prosperato, dando vita ad un vero e proprio giardino di roccia frequentato quotidianamente da centinaia di scalatori e nel quale oggi si contano ben più di cento pareti attrezzate per l’arrampicata sportiva e migliaia di vie, dallo stile di scalata e dalle difficoltà più diverse.
Occhio al clima!
Una delle caratteristiche che hanno decretato il successo di quest’area per l’arrampicata sportiva è la presenza di numerose pareti accessibili e ubicate in contesti di grande bellezza naturale, che offrono numerose vie di livello medio o medio-basso, quindi fruibili dalla gran parte dei praticanti. Ecco una selezione delle falesie più amate e frequentate.
Galbiate
È una delle falesie più gettonate.
Le ragioni le si comprendono già lungo il (breve) sentiero di avvicinamento: le pareti, infatti, si trovano nel Parco del Monte Barro, immerse fra boschi di castagno e prati perfettamente curati, con una splendida vista sui laghi briantei e la pianura, a breve distanza dal Museo Etnografico dell’Alta Brianza, che merita sicuramente una visita.
Si tratta di una falesia storica, chiodata alla fine degli Anni 80, dove lo stile tecnico di placca la fa da padrone. Nel giro di pochi minuti si possono raggiungere diversi settori con difficoltà per tutti, dal 5a all’8a.
- Per chi scala sul grado 6c/7a imperdibili sono i lunghi ed estetici tiri sulla roccia bianca della Placconata.
- Chi corteggia il grado 7 e 8 troverà pane per i propri denti sulle vie corte ed esplosive del Muro Giallo.
- I settori Oasi e Quattro Tracce sono invece ideali per i principianti e per chi si destreggia sul grado 6.
Francesco Maggi Francesco Maggi
Lariosauro
Anche in questo caso l’avvicinamento è “montagnino”: servono 45 minuti per arrivare alla parete, situata attorno ai 1100 metri di altitudine, alle pendici del Resegone.
La ricompensa di tanta fatica però sarà il privilegio di scalare su una delle rocce più spettacolari della zona, dove gli itinerari sono tutti di primissima qualità. Gocce, reglettes, buchi e concrezioni di ogni genere regalano all’arrampicata una varietà e un’eleganza difficilmente eguagliabili.
Si va dalle placche super tecniche ai tiri in strapiombo dove sono richieste doti di resistenza. Non mancano anche le vie sportive di più tiri. Tantissime alternative fra cui scegliere per chi scala sul grado 6, ma anche chi viaggia su livelli superiori non resterà deluso dalla bellezza degli itinerari a disposizione.
Le falesie più storiche
Forse non sono fra le più amene sotto l’aspetto paesaggistico e neppure fra le più apprezzabili secondo i criteri e lo stile della scalata oggi in voga, ma le falesie lecchesi nate negli Anni 80 (o anche prima), sono pezzi di roccia sui quali è stata scritta la storia di questo sport, ai quali è doveroso fare visita, come in un pellegrinaggio, e sui quali è bello cimentarsi per comprendere il livello e l’audacia dei pionieri.
Introbio
I primi spit del Lecchese sono comparsi qui, piantati nel 1981 da Marco Ballerini.
Su queste placche lisce e incise ogni tanto da qualche rara buca da lettera e reglette, la scalata tecnica e di equilibrio è regina.
Francesco Maggi
Oggi gli itinerari più facili del Sasso di Introbio (quelli fra il 6a e il 7a), per quanto sempre estetici ed elegantissimi, soffrono un po’ l’usura data dall’alta frequentazione.
Su quelli di grado superiore, però, state certi che non troverete affollamento: anche con il livello odierno sono pochi i climber che accettano la sfida frustrante di confrontarsi con questi 7b e 7c dove già capire come muoversi è una sfida non scontata e dove le probabilità di trovare l’aderenza e la concentrazione giuste per arrivare in catena senza resting è sempre remota.
Se, oltre a fare pellegrinaggio, avete anche intenzione di scalare, magari su itinerari meno scorbutici, attorno al sasso troverete diversi altri settori, con vie adatte anche a chi muove i primi passi in verticale.
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Bastionata del Lago
Se si parla di storia dell’arrampicata sportiva nel Lecchese non si può non citare questa falesia.
Le vie del settore On the Road e Ertomania sono state il punto di riferimento per generazioni di climber e sono diventate il simbolo della cosiddetta “scuola del lago”, una scalata fatta di grande tecnica ed eleganza… e di una certa confidenza con gli spit distanti e i voli lunghi.
Su queste vie i gradi non sono mai regalati (anzi!) e a volte anche solo andare da uno spit al successivo è una sfida con sé stessi e le proprie paure. Qui per divertirsi serve almeno un solido 6c/7a a vista, ma la soddisfazione di portarsi a casa una di queste pietre miliari è impagabile!
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Zucco dell’Angelone
Chi vuole confrontarsi con la migliore tradizione della scalata lecchese senza per forza dover affrontare itinerari di alto livello tecnico, qui trova il proprio terreno ideale.
L’Angelone è un piccolo mondo di pareti e paretine disperse fra i boschi, dove, sin dalla fine degli Anni 70, si è cominciata a sperimentare l’arrampicata “senza vetta”. Abbondano i monotiri e le vie multipitch su gradi molto accessibili (anche di livello 3), spesso su placche appoggiate ricche di fessure ed erosioni.
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Il livello sale con l’inclinazione della parete e abbondano i gradi 6 dove bisogna sfoderare una tecnica sopraffina nell’uso dei piedi. Dove la roccia comincia a strapiombare (come nel settore Lo Specchio del Grifone) si trova invece una notevole concentrazione di vie di alta ed estrema difficoltà.
Corno del Nibbio
Cento anni di storia verticale condensati su un’unica parete.
Sin dagli Anni 30 il Nibbio, uno scoglio di roccia alto circa 90 metri e situato ai Piani dei Resinelli, ai piedi della Grignetta, è la palestra degli arrampicatori lecchesi e lombardi. Qui i più forti scalatori di ogni generazione hanno lasciato la loro firma, a partire da personaggi mitici come Emilio Comici e Riccardo Cassin.
Oggi tutte le vie del Nibbio sono attrezzate sistematicamente nell’ottica dell’arrampicata sportiva, ma tanto la chiodatura quanto lo stile di scalata sono decisamente esigenti (difficile divertirsi con un livello a vista inferiore al 6c).
Le vie un tempo salite in artificiale oggi offrono una scalata atletica in fessura. Gli itinerari tracciati a partire dagli Anni 80 affrontano invece i muri strapiombanti a tacche. La quota elevata e l’esposizione nord ne fanno lo spot preferito nel territorio lecchese per i mesi più caldi dell’anno.
Le falesie più fresche
Visto che una delle “pecche” del territorio è proprio la carenza di falesie esposte a nord o comunque frequentabili nei periodi più caldi, proponiamo una piccola selezione di luoghi dove poter sopravvivere alla giornata di scalata anche quando la colonnina di mercurio tende ai 30 gradi centigradi e oltre… Del Nibbio, falesia estiva per eccellenza, abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, data la sua storicità; non mancano però altri luoghi dove rifugiarsi per trovare un po’ di frescura.
Era Glaciale
Un nome un programma!
Una piccola falesia esposta a nord e situata a 800 metri di quota, facilmente raggiungibile dalla stazione a monte della cabinovia dei Piani di Bobbio, in Valsassina. Si scala su ottima roccia lavorata a buchi, su muri verticali intervallati da piccoli tetti.
Sulla parete sono stati attrezzati 20 tiri con difficoltà media attorno al 6a/6b che la rendono fruibile dalla maggior parte degli scalatori di medio livello. I tiri più difficili (che arrivano fino al 7c) danno soddisfazione anche a chi cerca un maggiore ingaggio.
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Falesia del Leves
Ci spostiamo nel Triangolo Lariano, sulle alture sopra la sponda del lago opposta a quella lecchese.
La falesia si trova nelle vicinanze dell’abitato di Castel del Leves, a 800 metri di altitudine, in magnifica posizione panoramica, con esposizione nordest.
L’estate è dunque il periodo ideale per questo spot. In tutto i tiri attrezzati sono 26, con prevalenza di vie dal 6a al 6c. Buone possibilità di divertirsi anche per chi scala sul grado 7 e un assaggino di 8a per i climber più performanti.
Valbrona
Nell’area del Triangolo Lariano, affacciata sul ramo orientale del lago, si torva la falesia di Valbrona, che, grazie alla sua esposizione nordest e ai suoi circa 50 tiri, è il rifugio di molti climber lecchesi nei lunghi pomeriggi estivi, purché il clima non sia troppo afoso.
La parete, infatti, si sviluppa su due fasce rocciose sovrapposte, ma sempre immerse nel bosco, che tende a trattenere l’umidità. Il luogo è adatto per scalatori di livello medio e alto, vista la concentrazione di vie di grado 7 e 8. Qualche tiro è abbordabile anche per chi scala sul grado 6, ma l’arrampicata è sempre molto difficile ed esigente.
Le guide di arrampicata
La bibbia delle falesie lecchesi è certamente la guida “Lario Rock Falesie”, curata da Eugenio Pesci e Pietro Buzzoni, pubblicata nel 2018 dalle edizioni Versante Sud.
Sul web le informazioni più complete e costantemente aggiornate sono disponibili consultando il portale Larioclimb.paolo-sonja.net, ricchissimo di relazioni e approfondimenti e che mette a disposizione un’utilissima mappa interattiva dove è possibile scegliere la propria destinazione attraverso una selezione multipla di differenti paramenti (esposizione, difficoltà, bellezza, periodo consigliato, lunghezza dell’avvicinamento, ecc.).
Punti di appoggio
Vista la vocazione turistica del territorio non è difficile trovare punti di appoggio per la ristorazione e il pernottamento. Diversi sono i campeggi, soprattutto lungo le sponde del lago e non mancano i B&B e gli agriturismi. Tutte le informazioni utili per un soggiorno sul territorio si possono trovare sul portale del Sistema turistico del Lago di Como: Lakecomo.it.
Segnaliamo inoltre la palestra di arrampicata gestita dai Ragni di Lecco, che si trova proprio in città, utile punto di appoggio nei giorni di pioggia, dove potrete anche trovare sicuramente consigli e informazioni utili per le vostre scalate (contatti e info alla pagina Facebook: Palestra Ragni Lecco).
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